La legge mi pare un audace tentativo di concretizzare sulla Terra l’idea di giustizia che Platone, nel quarto secolo avanti Cristo, aveva collocato in un mondo irraggiungibile e perfetto chiamato Iperuranio. Addirittura un secolo prima Sofocle, nella sua tragedia greca di Antigone, porta in teatro l’innato conflitto umano tra legge naturale e legge di stato. Tutti sentono una voce dentro che dice cosa è bene e tutti sanno che c’è anche una concezione di bene esterna da rispettare. Nonostante otto secoli di distanza Sant’Agostino, un po’ come noi, si chiede se i peccati dipendano dall’uomo, ovvero se sia realmente responsabile delle sue azioni in quanto libero. Il filosofo risponde che non avrebbe senso chiamarli “peccati” se non si potessero evitare, infatti si commettono intenzionalmente. Dice che è dovere dell’uomo agire bene ed è possibile con l’aiuto della grazia divina. Il cristiano comprende anche la possibile indifferenza verso Dio e per evitare ciò che ora chiamiamo “reato” propone la volontà come via di salvezza. Non ci sono scuse quindi, l’uomo da sempre deve pagare per le ingiustizie che compie. Per capire invece quanto ci sia di conscio e inconscio nella volontà esiste apposta la psicologia che ancora indaga. Freud per primo aveva ipotizzato che nella mente nulla avviene per caso, ma ciò che accade è sempre determinato da avvenimenti precedenti. Ardua impresa così tracciare i confini della nostra libertà.
Facendo un salto nel tredicesimo secolo si incontra un nuovo pensatore credente, Tommaso d’Aquino, che mette un ponte tra il pensiero greco pagano e quello Cristiano. Propone la via della giustizia come un esercizio volontario, un habitus morale di una virtù innata posta da Dio, applicabile grazie alle relazioni dell’uomo in quanto animale sociale come definito da Aristotele.
Una simile visione si ha nella modernità con Kant, che mantiene l’universalità della morale privandola della soggettività del credo religioso. La legge morale infatti è ugualmente dentro di noi, riusciamo a esternarla però solo mediante ragione che si esercita in modi diversi facendoci agire secondo giustizia o meno. Ecco un piccolo scopo della filosofia e dei classici: ricordarti di essere umano e non da solo.
Ironicamente Socrate è un filosofo che si è trovato in un tribunale a difendere la propria causa, anche se come avvocato non lo assumerei visto come è finita. Tra i due ruoli preferisco certamente quello di pensatore, ma grazie a questa alternanza ho percepito la nobiltà del tentativo dell’avvocato di avvicinarsi il più possibile alla giustizia con gli strumenti umani legislativi attribuiti al diritto.
Il filosofo si interroga, definisce la questione, la seziona, la ricompone e la dona alla giurisprudenza che risponde in qualche modo. Come nella piramide, non c’è un vincitore o qualcuno di migliore, ci sono solo posti diversi, compiti differenti che partecipano con i mezzi disponibili allo stesso fine: un mondo giusto.