È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 2017 il Decreto legislativo n. 3/2017 che, in attuazione della direttiva 2014/104/UE, ha provveduto a disciplinare sotto il profilo sostanziale e processuale la tutela risarcitoria per le violazioni delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza. Il nuovo Decreto trova applicazione con riferimento alle azioni di risarcimento follow on (che seguono la decisione di accertamento della violazione da parte dell’autorità antitrust) e stand alone (proposte in assenza di una previa decisione antitrust).
Legittimazione ad agire e danno risarcibile
Gli artt. 1 e 2 individuano anzitutto i soggetti che possono assumere la qualità di danneggiato, e le voci di danno che possono formare oggetto di risarcimento.
Quanto al primo aspetto, potranno agire per il risarcimento del danno tutte le persone, fisiche o giuridiche, professionisti o consumatori (questi ultimi anche a seguito dell’esperimento di un’azione collettiva ai sensi dell’art. 140-bis del codice del consumo). Sarà legittimato ad agire per il danno chiunque lo abbia subito, indipendentemente dal fatto che si tratti di acquirente diretto o indiretto dell’autore della violazione del diritto alla concorrenza (art. 10). Trova in tal modo codificazione, nel nostro ordinamento, il principio dell’ampia legittimazione ad agire nelle azioni di risarcimento per danno antitrust, già riconosciuto dalla giurisprudenza europea nei casi BRT/SABAM, Courage e Manfredi ed a livello nazionale dalla Cassazione (cfr. ad es. sentenza n. 2207/2005).
Il risarcimento potrà essere chiesto per qualunque danno subito a seguito della violazione delle disposizioni di “diritto della concorrenza”, nel quale rientrano – ai sensi del Decreto – le disposizioni degli artt. 101 e 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e degli artt. 2, 3 e 4 della legge 287/1990 e qualunque altra disposizione, nazionale od europea, volta a perseguire le medesime finalità di tali disposizioni, fatta eccezione per “le disposizioni che impongono sanzioni penali a persone fisiche, salvo qualora tali sanzioni penali costituiscano gli strumenti tramite i quali sono attuate le regole di concorrenza applicabili alle imprese” (art. 2, co. 1, lett. b).
Il danno risarcibile comprende il lucro cessante, il danno emergente e gli interessi e non può dare luogo a sovracompensazioni (art. 1, co. 2), venendo in tal modo esclusa l’applicazione dei c.d. danni punitivi previsti in altri ordinamenti (ad es. gli USA).
L’art. 14 stabilisce i criteri per la liquidazione del danno da violazione di norme del diritto alla concorrenza, stabilendo che esso va determinato dal giudice in base agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c. A questo fine, il giudice potrà inoltre chiedere l’assistenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato su quesiti specifici, escludendosi in tal modo un generalizzato coinvolgimento dell’Autorità sulle questioni oggetto di giudizio.
Mentre il richiamo all’art. 1223 c.c. ribadisce il principio già espresso all’art. 1, co. 2 del Decreto (per il quale il danno risarcibile comprende danno emergente e lucro cessante), sono invece significativi i rimandi all’art. 1226 c.c. (che consente al giudice di liquidare equitativamente il danno in mancanza di una piena prova del suo ammontare) e all’art. 1227 c.c. che prevede la diminuzione del danno nel caso di concorso colposo del danneggiato nella sua causazione. Sarà necessario chiarire infatti quali condotte “colpose” potranno essere rimproverate al danneggiato di una intesa anticoncorrenziale o di altra pratica abusiva.
Ordine di esibizione
Gli artt. 3-6 disciplinano l’ordine di esibizione delle prove, che può essere emesso dal giudice nei confronti delle parti e di terzi. Obiettivo dell’istituto è quello di consentire in particolare all’attore di reperire elementi in genere difficilmente acquisibili a causa della c.d. asimmetria informativa, che in ambito antitrust pone normalmente nella disponibilità del convenuto o di terzi informazioni e documenti essenziali per fondare la domanda risarcitoria. Il regime previsto dal Decreto, pur presentando margini più ampi dell’analogo istituto disciplinato dal codice di procedura civile, non assume tuttavia i caratteri del discovery order proprio degli ordinamenti di common law.
Colui che si assume danneggiato non potrà infatti richiedere l’accesso indiscriminato a tutta la documentazione in possesso del presunto danneggiante ritenuta potenzialmente rilevante all’esercizio del proprio diritto, ma dovrà presentare al giudice un’istanza che consenta di individuare “specificatamente e in modo circoscritto gli elementi di prova o le rilevanti categorie di prove oggetto della richiesta o dell’ordine di esibizione”. L’estensione dell’ordine anche a “categorie di prove” (i.e. classi di elementi informativi omogenei sotto profili quali “la natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l’esibizione e che rientrano nella stessa categoria”) costituisce un ampliamento rispetto all’ordine di esibizione previsto dall’art. 210 c.p.c..
Il giudice, ai sensi dell’art. 4, potrà inoltre ordinare l’esibizione dei documenti inclusi nel fascicolo di un procedimento di un’autorità garante della concorrenza in via residuale, ossia qualora il danneggiato non sia in grado di procurarsi altrimenti le medesime informazioni, e a condizione che tale esibizione sia ritenuta “proporzionata”.
Legal privilege
Particolarmente rilevante, quanto all’impatto sui diritti costituzionali di difesa, è la previsione contenuta al comma 6 dell’articolo 3, il quale – a tutela del legal privilege – fa salva “la riservatezza delle comunicazioni tra avvocati incaricati di assistere la parte e il cliente stesso”. Si tratta di previsione che, innestandosi nell’annoso dibattito sull’ampiezza del legal privilege, sembra limitarne la portata applicativa in favore degli avvocati che siano non solo iscritti all’albo professionale (con esclusione dunque degli in-house legal counsel), ma anche legati al cliente in forza di uno specifico “incarico” (requisito – quest’ultimo – non previsto dalla Direttiva 2014/104/UE che richiede agli Stati membri di tutelare la riservatezza delle “comunicazioni tra avvocati e clienti”, senza ulteriori precisazioni).
Decisioni delle Autorità antitrust ed onere della prova
L’articolo 7 può essere considerato la disposizione cardine dell’intera disciplina in commento, con riguardo all’efficacia probatoria delle decisioni dell’AGCM e delle autorità della concorrenza site in altri Stati membri:
(1) efficacia delle decisioni dell’AGCM: ai sensi dell’art. 7, co. 1, si deve considerare definitivamente accertata nei confronti dell’autore la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’AGCM passata “in giudicato” per decorso dei termini di impugnazione oppure in esito all’esperimento del giudizio di impugnazione; quest’ultimo deve essere connotato da un sindacato giurisdizionale “pieno”, che comporti “la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”. L’accertamento dell’AGCM risulta vincolante quanto alla natura della violazione ed alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale; la decisione dell’AGCM non ha invece portata vincolante con riferimento al nesso di causalità ed all’esistenza del danno, che devono dunque essere provati dall’attore ed accertati in sede civile. Con l’art. 7, co. 1 viene dunque superata la linea giurisprudenziale che attribuiva alle decisioni dell’AGCM “valore di prova privilegiata” rispetto alla quale il convenuto era ammesso a fornire la prova contraria;
(2) efficacia delle decisioni di autorità di altri Stati membri: ai sensi dell’art. 7, co. 2, le decisioni definitive con le quali le autorità antitrust o i giudici del ricorso di altri Stati membri abbiano accertato una violazione del diritto della concorrenza costituiscono prova prima facie, nei confronti dell’autore, della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove.
L’articolo 14, co. 2, in deroga al principio generale dell’onere della prova, stabilisce una presunzione di esistenza del danno derivante dall’esistenza di un accordo di cartello. In tali ipotesi, colui che si afferma danneggiato da una simile intesa sarà soltanto tenuto a provare il quantum del pregiudizio subito.
Entrata in vigore e Tribunali competenti
Il D.Lgs. n. 3/2017 entrerà in vigore il 3 febbraio 2017, trovando dunque applicazione nella sua interezza nei confronti dei giudizi di risarcimento avviati da tale data.
Occorre tener presente tuttavia che si applicano nei confronti dei giudizi di risarcimento promossi successivamente al 26 dicembre 2014 ed attualmente in corso le disposizioni procedurali contenute nell’art. 3 sull’ordine di esibizione delle prove; nell’art. 4 sull’esibizione delle prove contenute nel fascicolo di un’autorità antitrust; nell’art. 5 sui limiti di utilizzazione delle prove ottenute mediante accesso al fascicolo di un’autorità antitrust; nell’art. 15 co. 2 relativo alla sospensione del processo in pendenza di una procedura di composizione consensuale della controversia.
Da evidenziare, infine, anche la previsione dell’art. 18 del Decreto, che modifica le competenze delle Sezioni specializzate in materia di impresa, in esecuzione del criterio stabilito dalla Legge n. 114/2015, onde garantire la concentrazione inderogabile delle controversie per danno antitrust nei tre uffici giudiziari di Milano (per il Nord Italia), Roma (per il Centro) e Napoli (per il Sud).