La Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, detta anche Carta di Nizza e proclamata il 7 Dicembre 2000 esordisce all’art. 1 con l’affermazione secondo la quale “la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. La salvaguardia della dignità umana è posta addirittura antecedentemente alla “tutela del diritto alla vita per ogni individuo” sancita nell’ art. 2 del trattato, a dimostrazione dell’eccezionale significanza e rilievo di tale valore.
Il presente lavoro nasce dall’esigenza di sistematizzazione e di ricostruzione di una figura soggettiva posta a protezione della dignità personale e professionale del dipendente, che sconta però un deficit di disciplina legislativa, pur a fronte di una origine in precisi atti comunitari e di una prefigurazione contrattual-collettiva, rimasta a “livello embrionale” (forse) anche a causa del blocco della contrattazione nazionale che ha caratterizzato il settore pubblico in questi ultimi anni.
Lo stimolo a codesta trattazione è riconducibile anche ad un ambiguo processo che sta caratterizzando il mondo del lavoro, sia pubblico che privato, ovvero da una parte l’esigenza di aumentare la produttività a beneficio del Pil nazionale e del rispetto dei parametri comunitari di finanza pubblica, dall’altra l’altrettanto giusta esigenza di conciliare i tempi di vita e di lavoro e di favorire condizioni di benessere lavorativo e organizzativo, sovente pregiudicate da una recrudescenza, anche nel settore pubblico, di atteggiamenti tendenzialmente “fordisti” e dal pericoloso proliferare di condotte sovente mobbizzanti e mobbizzatrici, che sono illecite in quanto tali.
L’ufficio del Consigliere/a di fiducia, così come un’efficace opera del Comitato unico di garanza (cd. CUG), può essere “uno snodo importante” allo scopo di fare sintesi tra queste diverse necessità, comunque funzionalizzate ad un virtuoso andamento di una organizzazione lavorativa.
1) Il quid proprium del Consigliere/a di fiducia e distinzione dalla Consigliera nazionale, o provinciale di parità
A scanso di equivoci e a dispetto del nomen, il Consigliere/a di fiducia (a volte definito consulente di fiducia) non è un organo consultivo che dispensa pareri al management nel quadro di un rapporto fiduciario, ma ….è tutt’altro, ovvero una “parte imparziale” deputata a raccogliere nell’organizzazione lavorativa segnalazioni riguardo atti di discriminazione, molestie sessuali e morali, vicende di mobbing e porre ad esse concreto rimedio, con tecniche di prevenzione e di risoluzione.
Per discriminazione si intende ogni tipo di discriminazione, sia diretta che indiretta, e quindi qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le persone in ragione del genere, dell’appartenenza etnica, della razza, della religione, dell’orientamento sessuale, delle opinioni personali e politiche, dell’handicap, dell’età, o di altri fattori.
Per molestia sessuale si intende la richiesta di favori sessuali, e/o proposte indesiderate di prestazioni a contenuto sessuale, e/o atteggiamenti o espressioni verbali e non verbali degradanti aventi ad oggetto la sfera personale della sessualità rivolti ad una persona, a prescindere dal suo sesso o orientamento sessuale.
Per molestia morale o psicologica si intende ogni comportamento indesiderato, fisicamente o psicologicamente suscettibile di creare un ambiente ostile, umiliante, degradante o offensivo dell’integrità psicofisica della persona, o che può causare danni all’ immagine di sé o alla professionalità dell’ individuo. nonché ogni forma di ritorsione contro chiunque denunci comportamenti configuranti molestia, inclusi i testimoni dell’ evento lesivo.
Per mobbing si intende una forma di violenza morale o psichica nell’ambito del contesto lavorativo, attuato dal datore di lavoro o da dipendenti nei confronti di altro personale. Esso è caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive denigratorie e vessatorie tali da comportare un’afflizione lavorativa idonea a compromettere la salute e/o la professionalità e la dignità del dipendente sul luogo di lavoro, fino all’ipotesi di escluderlo dallo stesso contesto di lavoro.
Si è quindi in presenza di una sorta di “sentinella di situazioni di disagio lavorativo” deputata alla loro composizione e risoluzione, in applicazione di un Codice di condotta interno che configura regole sostanziali e procedurali dirette ad informare e guidare la sua azione di assistenza.
Giova evidenziare le differenze tra il Consigliere/a di fiducia e la Consigliera nazionale o provinciale di parità, atteso che anche per la “vicinitas semantica”, molti reputano si tratti della stessa figura e che non vi siano distinzioni di sorta.
Non è propriamente cosi.
La Consigliera nazionale o provinciale di parità ha una chiara ed espressa origine legislativa nel Dlgs. 11.04.2006 n. 198, cd. Codice delle pari opportunità. E’ un pubblico ufficiale, quindi ha l’obbligo legale di segnalazione all’autorità giudiziaria dei reati di cui viene a conoscenza; di prassi è figura tendenzialmente femminile (anche se ai sensi del CPO può esservi anche un Consigliere di parità), si occupa fondamentalmente di discriminazione di genere e di molestie e mobbing, se nascono da discriminazione di genere; ha perlappunto un ambito territoriale di operatività a carattere nazionale, regionale e provinciale; nelle situazioni disagiate esercita funzioni relative al contenzioso in sede conciliativa e giudiziale, ovvero in un ottica di sostituzione processuale e/o di legittimazione processuale straordinaria ha potere di azione (individuale e collettiva) e di intervento in sede civile, di ricorrere in sede amministrativa, nonché di costituzione di parte civile in sede penale (cfr. Cass. Pen., VI Sez., 16 Aprile 2009 n. 16031).
La Consigliera di parità è quindi organo promotore di giustizia nei giudizi antidiscriminatori.
Il Consigliere/a di fiducia come anticipato non ha fonte legislativa, non è un pubblico ufficiale (a meno che non sia un pubblico dipendente), gode di un più ampio spettro di azione sul piano funzionale, nel senso che interviene in ogni caso di discriminazione e/o di molestia e non solo per le diseguaglianze di genere e di converso è affetto da un più limitato raggio di azione, poiché non avendo valenza topografico-territoriale opera solo all’ interno del ristretto ambito di una specifica pubblica amministrazione, o di un specifica azienda privata da cui ha ricevuto mandato.
Può essere indifferentemente uomo o donna e non gode di autonoma potestà di azione in giudizio a protezione della persona molestata, tutt’al più, dopo aver espletato la prima assistenza al molestato, può esercitare una funzione di difesa nell’eventuale procedimento disciplinare a carico del molestatore, purchè ciò sia previsto nel Codice di condotta interno.
Come dianzi illustrato Consigliera di parità e Consigliere/a di fiducia hanno ambiti di azione e competenze diverse, ma a volte sovrapponibili come nel caso di mobbing discriminatorio, cioè connesso a discriminazione di genere.
Tuttavia non vanno sottaciuti ipotetici aspetti di fungibilità tra le due figure, giacchè nulla pare impedire in termini di ipotetici conflitti di interesse che una Consigliera provinciale di parità venga nominata anche Consigliera di fiducia all’ interno di una struttura pubblica o privata, nel quadro di un “accordo strategico” tra l’amministrazione e la Consigliera di livello provinciale, con conferimento delle funzioni tipiche. Inoltre alla luce dell’ esigenza di promuovere la cultura di genere e in collaborazione con strutture accademiche, le Consigliere provinciali di parità sovente si fanno portatrici di iniziative di promozione del ruolo del Consigliere/a di fiducia, vedasi l’allestimento di corsi di formazione specialistica per aspiranti Consiglieri con istituzione di appositi albi professionali, a cui possono attingere enti pubblici o privati.
2) Profilo genetico e funzionale alla luce dei Codici di condotta a protezione della dignità della persona.
Come viene concretamente attivata la figura all’ interno della singola amministrazione ? Di regola la sua istituzione è prevista all’interno del surriferito Codice di condotta il quale essendo “un regolamento sostanziale” non può sottrarsi al vaglio e all’approvazione di organi collegiali che in genere sono ai vertici di ogni organizzazione pubblica.
E’ questa la “strada canonica” maggiormente seguita nelle prassi amministrative, tuttavia nulla impedisce che ad un istituzione in via normativa possa essere preferita una istituzione in via amministrativa mediante atto amministrativo monocratico, o collegiale, comunque seguito dal varo del Codice di condotta.
Dall’esame di una molteplicità di codici-regolamenti di varie pubbliche amministrazioni, peraltro strutturati su schema-tipo elaborato dall’ Aran (come si vedrà), si evincono le seguenti prerogative e potestà del Consigliere/a di fiducia.
L’individuazione del Consigliere/a avviene, o all’ interno dell’ente tra esponenti che non ricoprono cariche “gestionali o di governo” e a cui si riconoscono doti di indipendenza e imparzialità, o tramite selezione pubblica, o nomina presso albi o ordini tra soggetti esterni all’Amministrazione.
Il Consigliere/a in ogni caso deve essere in possesso di esperienza e professionalità adeguata e idonea al compito da svolgere e il suo mandato ha di regola durata biennale o triennale, eventualmente rinnovabile per medesima o inferiore durata.
Il Consigliere/a di fiducia, anche ai fini di una completa tutela legale, fornisce assistenza e consulenza alla vittima dei comportamenti ostili e su richiesta della persona interessata, assume in trattazione il caso e la informa sulla modalità più idonea per affrontarlo.
L’assistenza e consulenza del Consigliere/a di fiducia alla persona destinataria di attenzioni moleste deve comunque concludersi in tempi ragionevolmente brevi in rapporto alla complessità del caso trattato.
Nello svolgimento della sua funzione, il Consigliere/a di fiducia agisce in piena autonomia, così come può avvalersi, previa autorizzazione dell’amministrazione, della collaborazione di esperti, anche non appartenenti alla stessa. L’amministrazione deve garantire al Consigliere/a di fiducia libero accesso agli atti relativi al caso trattato e deve fornirgli tutte le informazioni necessarie per la definizione del medesimo.
L’amministrazione deve altresì garantire risorse umane, un luogo specifico dove svolgere la propria attività e un equo compenso annuale di tipo forfettario.
Il Consigliere/a istruisce una procedura informale o formale al fine della cessazione della molestia. La proceduta informale è di regola un contatto con il molestatore, la procedura formale può condurre al procedimento disciplinare nei confronti di questi.
In ordine al rito informale la persona che ha subito comportamenti lesivi della dignità e integranti casi di discriminazione, molestie sessuali, molestie morali o psicologiche o mobbing può rivolgersi pertanto informalmente al Consigliere/a di fiducia, il quale al fine di ottenere l’interruzione del comportamento ostile nei confronti della persona segnalante prende in carico il caso e la informa sulle modalità più idonee per affrontarlo.
Il Consigliere/a di fiducia non può adottare alcuna iniziativa senza averne prima discusso con la parte lesa e senza averne ricevuto l’espresso consenso.
Il Consigliere/a di fiducia pertanto:
– sente l’autore/trice dei comportamenti molesti e acquisisce eventuali testimonianze di colleghi e di altre persone eventualmente informate sui fatti;
– accede ai documenti amministrativi ;
-tende in via conciliativa e di mediazione umanistica a promuovere incontri congiunti tra la persona vittima della molestia e l’autore/trice della medesima;
– vigila sull’effettiva cessazione del comportamento molesto.
Qualora lo ritenesse necessario per tutelare la vittima del comportamento ostile, il Consigliere/a di fiducia può proporre al Dirigente competente il trasferimento di una delle persone implicate nella vicenda.
Ogni iniziativa deve essere assunta sollecitamente e la procedura informale deve comunque definirsi entro 90 gg. dalla sottoscrizione del consenso e in ogni momento della procedura la parte lesa può ritirare la segnalazione.
Riguardo alla procedura formale, qualora la persona oggetto di comportamento pregiudizievole ritenga inopportuni i tentativi di soluzione informale del problema, ovvero qualora dopo tale intervento, il comportamento indesiderato permanga e si protragga nel tempo, può essere azionata la cd. procedura ufficiale e formalizzata.
Questa procedura prende avvio con la denuncia scritta al vertice dell’ente, fatto comunque salvo l’eventuale esercizio del diritto di difesa nelle competenti sedi giurisdizionali (ove comunque la terzietà della figura del Consigliere/a, se evocata in giudizio, dovrebbe consentire di bilanciare i comportamenti omertosi di dipendenti-testimoni che temono la reazione del mobber per dichiarazioni pregiudizievoli nei confronti di questi).
I vertici dell’ ente o loro delegati, incaricano per l’istruttoria e per l’eventuale irrogazione di sanzioni i competenti uffici disciplinari (in primis l’ UPD ex art. 55 e seg. del Dlgs 165/2001), fermo restando l’obbligo di trasmettere gli atti alla competente autorità giudiziaria in caso di reato penale.
Per la durata e i termini di decorrenza dei procedimenti disciplinari si richiama la normativa vigente.
Qualora richiesto, il Consigliere/a di fiducia può assistere la vittima di comportamenti lesivi della dignità personale nella fase istruttoria dei procedimenti disciplinari, fatta salva l’alternativa prerogativa riconosciuta alla vittima di farsi assistere da un rappresentante delle OO.SS. e/o a un avvocato, cui si conferisce mandato e in attesa della conclusione del procedimento disciplinare, su richiesta di uno o entrambi gli interessati, l amministrazione, potrà adottare un provvedimento di trasferimento in via temporanea al fine di ristabilire un clima lavorativo sereno.
Nel caso sia dimostrata l’infondatezza della denuncia, l’Amministrazione, nell’ambito delle proprie competenze, opera in forma adeguata al fine di riabilitare il buon nome della persona accusata.
E’ pertanto di tutta evidenza come il Codice di condotta, con il quale il il Consigliere/a di fiducia ha un rapporto “consustanziale”, ha quindi specifiche funzioni di prevenzione dei comportamenti vietati, di emersione delle situazioni latenti, di creazione di procedure formali e informali dirette alla concreta ed effettiva soluzione del disagio e del conflitto, anche con esiti disciplinari a carico del presunto molestatore.
Per quanto poi sia ipotizzabile il rischio della cd. “ipertrofia codicistica”, corre altresì l’ obbligo di precisare che il codice di condotta è “altra cosa” rispetto al Codice di Comportamento dei pubblici dipendenti e al Codice disciplinare, poichè il primo è un plesso a protezione degli interessi dei singoli dipendenti, il secondo e il terzo appaiono deputati a protezione dell’ interesse pubblico e dell’ interesse dell’ente.
In ogni caso il Codice di condotta ne costituisce una naturale integrazione.
3) Facoltatività o obbligatorietà nell’istituzione del Consigliere/a di fiducia nel settore pubblico?
L’attuale panorama normativo e la non corposa letteratura sul punto difettano tuttavia di chiarezza riguardo la facoltatività o obbligatorietà nell’attivazione della figura di garanzia, dando così agio, sponda e giustificazione politico-amministrativa a inerzie e pigrizie (sovente in malafede) da parte del datore di lavoro pubblico.
Tuttavia da un approfondito, ulteriore ed attento esame della vigente normativa contrattual-collettiva (ex plurimis CCNL comparto Università quadriennio normativo 2006/2009- biennio economico 2006-2007) sono emersi “aspetti di doverosità e di vincolatività” tutt’altro che trascurabili.
L’ art. 50 dispone che “l’amministrazione dà applicazione con proprio atto al Codice di condotta contro le molestie sessuali e ne dà informazione preventiva alle OO.SS”.
L’art. 51 commi 2° e 3° recita che “il Comitato paritetico per il mobbing (oggi CUG con medesime ed ulteriori funzioni) formula alla amministrazione proposte per i connessi provvedimenti tra i quali rientrano in particolare l’istituzione della figura del Consigliere/a di fiducia e la definizione di Codici di condotta, sentite le OO.SS”.
E’ di tutta evidenza che la locuzione “dà applicazione con proprio atto al Codice di condotta” postula inequivocamente, non un atto discrezionale e facoltativo, bensì un “atto dovuto” da parte dell’ amministrazione, atteso che, diversamente opinando, la lettera del contratto avrebbe detto ….può dare applicazione …
Del pari indicare espressamente e “in particolare” (quindi non a mero titolo esemplificativo) l’istituzione della figura del Consigliere/a nel quadro dei connessi provvedimenti a carico dell’amministrazione, riduce l’arbitrio, la scelta e la potestà discrezionale di quest’ultima in ordine all’attuazione della lettera contrattuale.
A ulteriore dimostrazione della cogenza delle prescrizioni contrattuali, al CCNL è allegato uno schema di Codice di condotta ovviamente elaborato di concerto con l’ ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – (cd. allegato1) che ha costituito la base per il varo dei Codici adottati da numerosi Atenei e che all’art. 2 comma 1° lett D testè afferma “E’ istituita la figura del Consigliere/a di fiducia così come previsto dalla Risoluzione del Parlamento Europeo A3-0043/94 “.
Vero è che le Risoluzioni del Parlamento europeo non hanno valenza legislativa (per quanto comunque atti autorevoli !), ma l’effetto di vincolo di tale prescrizione si è comunque realizzata con il suo inserimento nell’architettura del vigente Contratto collettivo del comparto Università, che rientra tra le fonti normative del rapporto di lavoro.
Giova altresì sottolineare che anche in questo codicillo gli attori della procedura contrattuale (Aran e OO.SS) non si sono espressi …in forma possibilista, bensì in termini di chiara e sufficiente nettezza riguardo l’adempimento istitutivo e il significato letterale di una espressione è notoriamente per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione il criterio principale (per quanto non esclusivo) per individuare la comune volontà delle parti.
Va poi precisato che nella prassi e alla luce dell’ evoluzione del diritto antidiscriminatorio, i Codici di condotta, originariamente varati contro il mobbing e contro le molestia sessuali, hanno ampliato il raggio della loro azione sino a comprendere le molestie morali o psicologiche e in generale la tutela della dignità personale e professionale dei dipendenti. Sulla scorta di queste osservazioni, postulare la doverosità della figura del Consigliere/a di fiducia e del varo del relativo Codice di condotta (che ne costituirebbe la primigenia fonte normativa e ambito di operatività procedurale) significa aderire allo spirito e alla lettera del CCNL e per l’effetto ad un precisa volontà dell’ ARAN la cui autorevolezza è data dall’ essere la primaria Autorità amministrativa indipendente in materia di lavoro pubblico.
E conclusivamente sul punto un rifiuto ingiustificato o immotivato del datore di applicare il CCNL nei suoi aspetti di doverosità potrebbe comportare, seppur latamente, un’ipotesi di condotta antisindacale per violazione di disposizioni normative del CCNL configurante oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui sono portatori le OO.SS..
4) I rapporti con il Comitato Unico di Garanzia dell’ente (cd. CUG), anche ai sensi delle Linee guida della Funzione pubblica del 4 marzo 2011
Come anticipato in narrativa il CUG, ai sensi della novella di cui alla L.4 Novembre 2010 n. 183 che ha modificato l’art. 57 del Dlgs 165/2001, ha sostituito il Comitato paritetico contro il mobbing, mutuandone e ampliandone le funzioni di presidio contro le vessazioni e discriminazioni sui posti di lavoro.
Ad integrazione della surriferita legislazione e come adempimento previsto dalla medesima, la Funzione pubblica ha varato in data 4 marzo 2011 “le Linee guida per il funzionamento dei CUG” che hanno conferito ai CUG poteri propositi, consultivi e di verifica nelle materie di competenza.
Vero è che ai sensi della citata normativa primaria il CUG è chiamato ad operare in collaborazione con il Consigliere/a nazionale di parità (perché non anche il provinciale ?) ma è altrettanto vero che la letteratura odierna ha saggiamente rilevato che ai sensi del punto 3.4. delle Linee guida della Funzione pubblica, i CUG vengono chiamati a varare regolamenti interni di funzionamento che disciplinino “modalità di consultazione con altri organismi”, affermazione generica che non può non ricomprendere anche il consigliere/a di fiducia.
Ecco che allora I rapporti tra CUG e Consigliere/a di fiducia si prestano ad essere non poco stringenti.
Parrebbe assolutamente normale e naturale deferire al CUG la proposta della modalità di scelta del Consigliere/a così come di regola, ovvero nei Codici di condotta fin ora varati delle amministrazioni, il Consigliere/a è sovente revocabile su proposta del CUG nei casi di gravi inadempienze, omissioni, ritardi o violazioni agli obblighi di imparzialità, correttezza e riservatezza fissati per l’ esercizio dei suoi compiti.
Del pari sovente è canonizzata la regola per la quale alla fine di ogni anno solare il Consigliere/a di fiducia trasmetta al CUG una relazione sulla propria attività e sulla casistica riscontrata.
In buona sostanza un efficace “rapporto di raccordo” tra CUG e Consigliere/a di fiducia non può che giovare, sia per un corretto funzionamento delle istituzioni interne, sia in ordine all’esigenza di conferire una giusta e compiuta tutela alla sfera morale dei dipendenti.
5) Il/la Consigliera di fiducia come ufficio-funzione e non come ufficio-collaborazione. Vantaggi in ordine ai limiti di finanza pubblica nel conferimento di incarichi a terzi.
Da uno spunto tratto dalla recentissima relazione del Presidente della Corte dei Conti in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario 2015 è emerso che il divieto di rinnovo degli incarichi di collaborazione di cui all’art. 7 comma 6° del Dlgs. 165/2001 deve essere inteso “non solo con riguardo al soggetto destinatario, ma anche con riferimento all’ oggetto della prestazione, poiché la norma, ispirata al carattere temporaneo degli incarichi, mira ad evitare la ripetizione di un rapporto giuridico precedentemente instaurato, seppur nuovo e autonomo rispetto al precedente, il quale riveli l’assenza dei requisiti di straordinarietà e limitatezza nel tempo dell’esigenza dell’amministrazione”.
Posta l’esigenza di una stabile operatività dell’ ufficio del Consigliere/a e atteso il carattere necessariamente “transeunte” delle collaborazioni qualificate, ne conseguirebbe l’impraticabilità di attivare una co.co.co per l’espletamento di tale servizio di assistenza, attesa l’evidente impossibilità giuridica della continuazione e ripetizione nel tempo del conferimento di un incarico di collaborazione a terzi ai sensi del Dlgs. 165/20001.
L’esigenza di cristallizzazione e stabilizzazione nel tempo di una figura di garanzia come il Consigliere/a di fiducia può essere quindi soddisfatta alla luce della distinzione tra incarichi di collaborazione (meramente temporanei) e funzioni politico-amministrative, (necessariamente stabili), poiché il varo di un “Codice di condotta a protezione della dignità dei dipendenti”, con formale previsione dell’ istituzione del ruolo di Consigliere/a di Fiducia deputato alla sua attuazione e applicazione, così come una sua attivazione a mezzo atto amministrativo, consentirebbe l’individuazione della figura, senza la soggezione ai notori limiti legali e/o di finanza pubblica esistenti per il reperimento di un prestatore sul mercato delle collaborazioni esterne.
Si rammenta difatti che nel quadro delle politiche di bilancio i contenuti principali e sostanziali delle leggi di stabilità (le ex leggi finanziarie) sono costituiti dai “cd. vincoli alla spesa spesa pubblica”, tra i quali costituisce una costante prevedere limitazioni alla spesa per le consulenze esterne.
In buona sostanza e alla luce delle surriferite argomentazioni giuridiche si addiverrebbe alla configurazione del Consigliere/a di fiducia come ufficio funzione e non come ufficio collaborazione e in virtù di un procedimento di nomina, più che di selezione di un collaboratore.
Si osserva peraltro che la giurisprudenza contabile (in primis Corte dei Conti, Sezioni riunite di controllo – Adunanza 15 Febbraio 2005 n. 6 ) è costante nel non qualificare propriamente come incarichi di collaborazione le cd. “esternalizzazioni di servizi necessari per raggiungere gli scopi istituzionali dell’amministrazione”, nonchè le “prestazioni professionali consistenti nella resa di servizi o adempimenti obbligatori per legge” (es. i revisori dei conti ), pertanto la costituzione della figura di garanzia di cui si parla potrebbe inserirsi in tale filone esentativo dai vincoli e dalle ristrettezze che caratterizzano il conferimento degli incarichi di collaborazione qualificata.
Giova altresì rammentare e rimarcare l’origine comunitaria (oltre che contrattuale) del Consigliere/a di fiducia, vedasi la Raccomandazione della Commissione Europea del 27/11/1991 n. 92/131 recante “Tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, nonché la Risoluzione del Parlamento Europeo A3-0043/94 (e A5-0283/2001) “Designazione nelle imprese di un Consigliere/a di fiducia”, ciò a dimostrazione dell’ esistenza di un contesto normativo tendente alla istituzionalizzazione e pertanto del carattere non meramente e limitatamente discrezionale, saltuario ed episodico del servizio di tutela espletato da tale ufficio.
Conclusioni e prospettazioni collegiali
L’art. 7 comm 1° del Dlgs 165/2001 recante “Gestione delle risorse umane” recita che le amministrazioni pubbliche garantiscono un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno.
Al fine di dare pienezza e concretezza a questo assunto, l’utilità della figura soggettiva in trattazione è pacifica ed inequivoca ed è altresì auspicabile un suo “rafforzamento normativo” e una sua maggior proliferazione e penetrazione all’ interno delle strutture pubbliche e private, anche ricorrendo ad economie di spesa per la copertura finanziaria del servizio (in genere comunque scarsamente onerosa).
Inoltre è un dato evidente che la costituzione dell’ ufficio sia da annoverare tra le cd. good or best practices, sia per ragioni organizzative, sia in termini di performance lavorativa, sia in un’ ottica di deflazione del contenzioso e di risparmi economici.
Sul piano organizzativo il Consigliere/a di fiducia costituisce un “completamento funzionale degli assetti interni”, giacchè riempie “un vuoto di tutela” determinato da una sorta di presunta inidoneità legale da parte del CUG di occuparsi della cura di casi singoli e specifici, in ragione della sua funzione generalista e politico-programmatica negli ambiti di sua competenza. Riguardo alla performance individuale non può revocarsi in dubbio che un dipendente più tranquillo e meno stressato a seguito della positiva soluzione della sua situazione di disagio psico-morale è un dipendente più efficiente e più immedesimato nella mission dell’ ente presso il quale opera, evitando così il sopraggiungere di una dannosa disaffezione nei confronti della organizzazione di cui fa parte.
Da ultimo la soluzione “interna e bonaria” del caso configurante una fattispecie di molestia consente di evitare il ricorso alla via giurisdizionale, contribuendo così a limitare il congestionamento dei processi di lavoro e a ridurre le spese di giustizia a carico delle p.a.. Difatti “sterilizzare a monte” il rischio di spiacevoli eventi lesivi della sfera psicologica del dipendente, consente, specie in caso di mobbing, di evitare lunghe e defatiganti cause risarcitorie che lasciano un segno, non solo nella sfera emotiva dipendente, ma anche nelle casse e finanze dell’ amministrazione eventualmente soccombente (per quanto la condanna dell’amministrazione configuri un’ ipotesi di danno erariale indiretto suscettibile di rivalsa economica nei confrointi del molestatore a seguito di giudizio di responsabilità amministrativo-contabile). Per completezza espositiva non vanno tuttavia sottaciuti alternativi orientamenti amministrativi e de jure condendo volti a conferire “carattere collegiale” alla figura in discorso, es un nucleo costituito da RSSP (il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione), medico competente e un membro nominato dalle OO.SS (cfr. Codice di condotta INPS), oppure un consesso costituito da un rappresentante dell’amministrazione, un rappresentante eletto dai lavoratori e un membro nominato dall’ASL (cfr. legislatura 14 – Disegno di legge n.122 sul mobbing).
Si avrà modo di vedere e di verificare nel tempo questi sviluppi, tuttavia a parere di chi scrive di collegiale vi è già il CUG, peraltro in genere con compiti di verifica dell’ operato del Consigliere/a e sul piano della tempestività e dell’effettività dell’azione di tutela una figura monocratica in luogo di un soggetto plurimo, parrebbe dare più ampie e solide garanzie.