La Suprema Corte, con la sentenza n. 16769/2016 del 9 agosto 2017, ha riconosciuto l’impugnabilità del diniego parziale di autotutela. Inoltre, il legislatore, con l’art. 11 del D.Lgs. n. 159/2015, è intervenuto sull’art. 2-quater del D.L. 564/1994 in tema di autotutela, inserendovi il comma 1-octies, secondo cui l’annullamento o la revoca parziale dell’atto impositivo disposti in autotutela non sono impugnabili.
Orbene, tale pronuncia della Cassazione (assieme all’ordinanza n. 454/2016 della CTP di Chieti che ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2-quater del D.L. 564/1994) si è posta in contrasto con le precedenti sentenza che hanno negato tale impugnabilità del diniego di autotutela.
Precisamente, per la Cassazione si deve ritenere definitivamente preclusa la possibilità di riesame del merito dell’atto oggetto di autotutela, ma è oggetto di vaglio dei Giudici Tributari la legittimità del rifiuto dell’annullamento in autotutela se sussistono ragioni di un interesse generale alla rimozione dell’atto. Quindi il sindacato giurisdizionale può esercitarsi soltanto sulla legittimità del diniego stesso da parte dell’Amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale, che vanno specificatamente prospettate dal ricorrente.
Necessario è, quindi, in quadrare l’iter seguito nei decenni dalla giurisprudenza sull’autonoma impugnabilità del provvedimento di diniego di autotutela:
Cassazione SS. UU. n. 16776 del 10 agosto 2005 (sentenza “base”). Con tale sentenza la Suprema Corte aveva riconosciuto la giurisdizione del giudice tributario anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il diniego, espresso e tacito, dell’Amministrazione Finanziaria per l’autotutela.
Cassazione SS. UU. n. 7388 del 27 marzo 2007. Con tale pronuncia la Cassazione aveva riconfermato la giurisdizione del Giudice Tributario piuttosto di quello Amministrativo, se si trattava di tributi. Per di più con tale pronuncia veniva evidenziato che l’oggetto dell’esame giurisdizionale del diniego di autotutela doveva riguardare esclusivamente la verifica del corretto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione. Il Giudice non poteva sostituirsi all’Amministrazione Finanziaria emettendo esso stesso l’atto di autotutela. Tuttavia, nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria non si fosse adeguata alla pronuncia del Giudice Tributario, il contribuente poteva esperire il rimedio del giudizio di ottemperanza.
SS. UU. n. 2870/2009 n. 3698/2009, n. 9669/2009. Con tali sentenze la Cassazione ha fortemente limitato l’impugnabilità del diniego di autotutela. Con le prime due pronunce la Cassazione ribadiva la giurisdizione del Giudice tributario (nei limiti sopra indicati), ma avevano ritenuto non esperibile un’autonoma tutela giurisprudenziale nei riguardi del diniego di autotutela. La terza aveva dichiarato improponibile la domanda giurisdizionale se il contribuente si era limitato a chiedere l’annullamento degli atti impugnati in autotutela (doveva evidenziare anche violazioni di legittimità del diniego dell’Amministrazione). Tuttavia dai Giudici di Merito veniva introdotta l’obbligo di riesame dell’Amministrazione Finanziaria dopo il diniego (CTP Savona n. 4/2009; CTP Savona n. 114/2011; CTR Sicilia n. 3177/2015) e la possibilità di condanna dell’Amministrazione Finanziaria sia alle spese di lite, sia per lite temeraria nel caso in cui il diniego di autotutela fosse stato illegittimo (CTR Puglia n. 11/2011; CTP Campobasso n. 195/2014; CTR Lombardia n. 2088/2015), nonché il risarcimento dei danni subiti dal contribuente (Cass. n. 5120/2011).
n. 14243 del 8 luglio 2015. Tale pronuncia (basandosi sulla sentenza “base” della Cassazione SS. UU. n. 1667/2005) ha ribaltato le sentenze del 2009 affermando che, in caso di annullamento parziale in autotutela di un atto impositivo (tipo avviso di accertamento), non può essere negato al contribuente di impugnare il diniego avanti i Giudici Tributari.