L’invidia sociale è la distopia di un mondo che non vuole più essere ma, semplicemente, apparire. È il vero cancro di questa società moderna, perché attraverso di essa tutto diventa distorto e contorto, quelli che un tempo erano valori interiori dell’essere umano sono stati sostituiti da apparenze esteriori della società. L’invidia nelle sue forme più comuni si riferiva alle cose, invidia per ciò che non ho e altri hanno. Ma aggiungendo l’aggettivo “sociale”, ecco che abbiamo il fenomeno dell’invidia sociale, in una società fatta di immagini e comunicazioni, l’invidia è rivolta all’essere, ai modelli di successo, di ricchezza, di fama e di notorietà.
Invidere in latino vuol dire guardare storto, guardare male. In altre parole l’invidia ti impedisce di vedere in maniera corretta e trattandosi di invidia sociale, non ti permette di vedere e di capire la società in cui vivi. Motivo per cui c’è una diffusione sempre più ampia di forme di ostilità, odio e rancore verso il prossimo. Che si tratti del nostro vicino, del collega, dell’influencer o del migrante appena sbarcato, poco importa. L’invidia sociale non guarda in faccia a nessuno.
L’invidioso sociale dovrebbe solo vergognarsi di se stesso, per le sue carenze, per il suo modo di misurare una realtà del tutto fittizia, basandosi su valori assolutamente astratti. Ma ci troviamo in un’epoca in cui la vergogna si è estinta. Molto più semplice negare a se stessi e al mondo intero la propria invidia, perché altrimenti significherebbe ammettere l’insicurezza che la genera, e in un mondo sempre più autoreferenziale, in cui il dubbio è stato spazzato via dai tuttologi e dalla loro prepotenza affermativa, non si cercano più le ragioni del successo altrui, lo si critica invece, soprattutto si cerca di demolirlo.
Ecco perché l’invidia diventa un cancro, un male che inquina popoli, governi, la società tutta. Troppo spesso dinanzi al successo e alla realizzazione di un persona, anziché ammirarla e usarla come fonte “di ispirazione”, succede che nessuno è contento, anzi, si aspetta che possa inciampare, cadere in disgrazia, e allora sì che voleranno coriandoli.
E in tutta questa situazione già di per sé paradossale c’è un aspetto ancora più tragicomico. Ossia, il povero è più invidioso del povero che del ricco. In altre parole, l’invidia sociale si muove prima sul piano orizzontale, tra pari, tra categorie sociali della stessa condizione economica, poi in verticale. Un esempio concreto è l’invidia verso l’immigrato, colpevole, secondo i suoi simili più chiari, di rubare il lavoro, di ricevere ospitalità e del prima gli italiani. Questa è l’invidia sociale signori miei, che spesso ricalca le orme di slogan e ideologie a dir poco ripugnanti.
E l’invidia sociale, come anche l’invidia classica, prende origine dalla mancanza di qualcosa che il soggetto sente, percepisce di non possedere: un lavoro, una casa, attenzioni e via dicendo. E questo sentimento di mancanza induce reazioni aggressive e distruttive. Per dirla con le parole di Umberto Eco:
“Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria“.
(Dal suo libro “Il cimitero di Praga”)
L’invidioso sa bene come demolire le sue vittime, la prima e più potente arma è la calunnia. Un metodo antico, tant’è che nella Bibbia troviamo scritto: “La spada uccide tante persone, ma ne uccide più la lingua che la spada”. E nonostante siano passati millenni da allora, lo scenario è simile. In un’epoca altamente tecnologica, nella quale si comunica sempre di più attraverso i social, l’aumento dell’invidia sociale è una logica conseguenza. Ma più che invidia sociale, sarebbe corretto, in questo caso, definirla come invidia sociaL. Perché è proprio sui social che la gente vuole mostrare tutto, vuole vedere tutto, il web è diventato la passerella per le esibizioni più plateali e subdole atte a generare frustrazione e, appunto, invidia.
E in chi visiona quelle foto, quegli stati esuberanti, subisce un senso di inadeguatezza, simile a quella provata quando c’erano in tv pubblicità atte a proporre modelli distanti ed affascinanti, che in un modo o nell’altro, cercavano di farti sentire sfigato. E proprio quel senso di inadeguatezza che ti fa sentire, come ben espresso da Umbero Eco, misero, dà vita a nuove figure comparse con l’avvento dell’invidia sociaL: haters, troll, cyberbulli, delatori e calunniatori virtuali, fake, leoni da tastiera, dietrologi e tuttologi di ogni tipo, e chi più ne ha più ne metta.
Ma è anche l’era del risentimento causato da quest’invidia sociale che cresce dentro. Ecco perché definisco l’invidia sociale come il cancro di questa società. Perché è un male silenzioso che si tramuta in odio e uccide gli altri e, soprattutto, noi stessi. Oggi con i social l’invidia cresce a dismisura, esplode, e questo avrà un costo per la specie umana. Stiamo creando una realtà del tutto distopica, dove un piatto non viene apprezzato se non esce bene in foto. Dove un bacio non ha valore se non è condiviso sui social. Un mondo dov’è tutto un lagnarsi delle vite felicissime degli altri, perdendo di vista quella che, in fondo, è la propria vita.
Ecco perché l’invidia è un sentimento deleterio per la società tutta, un cancro che toglie forza alla comunità e mette gli uni contro gli altri. Nasce così il sospetto, la vendetta, il complotto, l’odio, il pregiudizio. E con questo carico sulla coscienza diviene difficile capire dove stiamo andando. Siamo diventati vuoti dentro, tranne per l’invidia che proviamo verso gli altri. Ci sta rimanendo solo questo cancro.