Chi di noi, nel corso dei suoi personali approfondimenti circa i temi culturali dell’iniziazione non si è mai imbattuto nella figura di Ermete Trismegisto? E chi non si è mai chiesto se si trattasse di un personaggio storico oppure appartenente al mito? La verità, come al solito, si trova a metà strada. Ermete Trismegisto non è esistito come persona fisica, ma nella tradizione è più che reale: Padri della Chiesa quali Agostino, Lattanzio e Cirillo – che, addirittura, ne parla come il fondatore di tutte le culture, inventore della geometria, dell’astronomia, dell’astrologia, della grammatica e della musica – sostenevano la sua esistenza; si pensi che un documento del 1659 (conservato presso la Royal Society di Londra) lo nomina quale padre della sapienza, in quanto fondatore della scienza geometrica, la principale delle arti liberali e una versione delle Constitutiones pubblicate nel 1726 si richiama ad Ermete in quanto grande docente di muratoria. Il nostro personaggio sicuramente appartiene al mito, giacché Ermete è la versione greca di Mercurio (Hermes) e Trismegisto significa Tre volte grandissimo: sarebbe stato nipote di Mercurio il Vecchio, a sua volta nipote del fisico Prometeo e fratello dell’astrologo Atlante, contemporaneo di Mosé; e l’appellativo di tre volte grande sarebbe originato dal fatto di aver vissuto tre volte in Egitto cumulando la sapienza delle precedenti esistenze. A monte, però, di tutte queste interpretazioni che, poi, sfociano naturalmente nella sterile polemica, è doveroso chiedersi, per quale motivo si sia sentito nell’antichità il bisogno di creare questo autore di saggi filosofici, perché, nel periodo medievale egli venisse diffuso e studiato, perché infine, nell’Umanesimo, lo si è fatto vivere di vita nuova. E’ nella metà del 1400 che un manoscritto greco venne portato dalla Macedonia a Firenze ad opera del monaco pistoiese Leonardo, per conto del Granduca Cosimo de’ Medici. Si trattava di un codice contenente scritti di Proclo, di Alessandro di Afrodisia, traduzioni greche di trattati latini di filosofia curati da eruditi bizantini come Massimo Planude e Giorgio Scholarios. Soprattutto, però, conteneva i primi quattordici trattati del Corpus hermeticum greco. Nel 1463, Marsilio Ficino ricevette l’incarico di tradurre principalmente quest’ultimo testo, poiché il suo autore – i cui scritti magici, alchimistici ed astrologici erano conosciuti già in epoca medievale – era considerato una sorta di grande profeta pagano, lo scrittore più antico e illuminato di opere, quasi coeve alle Leggi mosaiche, perfettamente compatibili con il Cristianesimo. In realtà, quei manoscritti non erano stati composti da Ermete e, come tutti gli altri a lui attribuiti, si datano fra il 100 ed il 300 d.C. Anzi, probabilmente furono composti da più autori ellenisti, che mescolarono elementi di filosofia popolare greca, di platonismo, di stoicismo, certe influenze ebraiche e persiane, dando vita ad opere di intensa pietà. Il Corpus hermeticum comprende quindici dialoghi, dei quali i più interessanti sono l’Asclepius e il Pimander, descrivendo il primo la religione, i riti ed i rituali magici degli antichi Egizi, parlando il secondo della creazione del mondo, con toni e parole simili a quelli del Genesi. Gli altri trattati discutono dell’ascesa dell’anima al regno di Dio attraverso la sfera dei pianeti e contengono descrizioni estatiche del processo rigenerativo dell’anima, tramite cui essa si riempie di poteri e di virtù divini. In un’epoca in cui il passato era guardato con occhio nostalgico e progresso significava ritorno, rinascita, rinascimento dell’antichità, scoprire il Corpus significava dimostrare la pietà di Mercurio, analoga alla cristiana, e rapportarlo al platonismo dominante equivaleva per il Ficino interpretare il platonismo come una gnosi derivata dalla sapienza egizia. Cioè il Corpus supportò l’opinione rinascimentale (condivisa dagli autori del sec. II) che antichità significasse santità, che l’Egitto faraonico fosse la fonte primaria di ogni scienza, e che i grandi filosofi greci avessero scritto le loro opere solo dopo aver imparato direttamente dagli stessi sacerdoti egizi. Costoro veneravano, fra le altre divinità, proprio il dio Thot, dio lunare, inventore della scrittura, patrono della magia, giudice dei morti, guardiano delle porte del mondo sotterraneo, il cui numero sacro era il tre ed il metallo l’argento; raffigurato come una scimmia senza coda, un babbuino oppure un ibis, corrispondeva all’Hermes greco ed al Mercurio latino. Grazie a lui la religione magica egizia veniva a corrispondere perfettamente con la religione ermetica del mondo. Marsilio Ficino credeva fermamente che Ermete Trismegisto fosse un profeta di massima sapienza che aveva vaticinato l’avvento del cristianesimo e contribuì in modo determinante a diffondere la visione ermetica del mondo. Questo significava, però, anche una rivalutazione positiva della magia, costretta nel medioevo al latomismo, poiché, insieme agli hermetica, affluì da Bisanzio tutta una serie di testi, ancora una volta considerati erroneamente antichissimi, attribuiti a Zoroastro e Orfeo, che presentavano molti prisci theologi come prisci magi. Perciò, credere in Ermete equivaleva a credere nell’antica sapienza e magia egizia. Il risultato fu il nascere di un nuovo tipo di mago: un dotto che concepiva l’investigare i segreti del mondo quale precipuo dovere religioso, usando i propri poteri per il dominio sulla natura. Lo scienziato religioso del sec. XVII è figlio del mago rinascimentale: Copernico ricorderà Ermete per spiegare la teoria
eliocentrica dell’universo, mentre Newton è definibile l’ultimo stregone a causa del suo preminente interesse nell’alchimia e nella magia ermetica. Coeva all’opera del Ficino si colloca lo sviluppo della cabala pratica ad opera di Pico della Mirandola, il cui uso integrò il bagaglio ermetico e neoplatonico del nuovo tipo di mago. Il Pico, che, con Ficino, fu tra i fondatori del neoplatonismo rinascimentale, credeva nella sacralità dei testi ermetici però, diversamente da Marsilio, conosceva l’ebraico e poté confrontare il Corpus hermeticum con i manoscritti cabalistici procuratigli da ebrei spagnoli come Flavio Mitridate, giungendo a convincersi che quei testi e dottrine potessero aiutare la comprensione profonda del pensiero cristiano. La parola cabala significa tradizione: comunemente, si credeva che Dio, consegnando a Mosé la Legge, gli avesse anche rivelato parlando in ebraico (lingua, dunque, sacra) ed il suo significato recondito fosse stato successivamente tramandato oralmente dagli iniziati. Nel XIII secolo, la cabala si era sviluppata come teosofia fondata sulla dottrina delle dieci sephiroth, emanazione del divino, nonché i dieci nomi e insieme i poteri di Dio, e sull’uso di tecniche di manipolazione delle lettere dell’alfabeto ebraico a fini di contemplazione mistica. Nella mentalità rinascimentale, Ermete Trismegisto era collegato, quale Mosé egizio, alla cabala che si supponeva tramandata proprio dal Patriarca. Per il Ficino, Ermete era stato il primo dei teologi, seguito da Orfeo, a cui seguì Pitagora, maestro di Filolao, maestro di Platone. Di conseguenza, sarebbe sempre esistita una setta formata da prisci theologi, iniziata da Mercurio e terminata con Platone. Il Pico iniziò a considerare la cabala come uno strumento di approfondimento del significato del cristianesimo, innestandovi, però, il Corpus hermeticum e fondando in tal modo la cabala cristiana che differisce da quella ebraica per l’uso cristiano delle tecniche e per la fusione con l’ermetismo, anche se esistono talune affinità: la prima riguarda i tipi di gnosi mosaica ed ermetica; la seconda il tema della creazione fatta dalla Parola. Vale a dire che i misteri degli scritti ermetici erano misteri del Logos, e, nel Genesi, Dio, per creare il mondo, parlò (in ebraico). Il Pico si convinse, attraverso tecniche di combinazione delle lettere, che i tre nomi di Dio dei segreti cabalistici, contenuti nel nome quaternario (il Tetragrammaton), si riferissero alle tre persone della Trinità, in ciò confermando le Scritture e, descrivendo la cabala come ars combinandi (ossia l’arte di combinare insieme le lettere ebraiche, molto vicina alla mnemotecnica di Raimondo Lullo, e in un metodo per l’evocazione degli spiriti e degli angeli), diede origine ad una ‘cabala pratica’, mediante la quale si attuava la cosiddetta scala mistica di Giacobbe, che consentiva di salire e di scendere dall’umano al divino e viceversa. L’elemento magico è rappresentato dalla virtù dei nomi divini, ai quali si associano gli angeli. Bisogna specificare che i cabalisti elaborarono numerosi nomi ai entità angeliche non menzionati nelle Scritture che parlano solo dei tre Arcangeli e di Lucifero. L’evocazione di angeli e spiriti rappresenta una parte notevole (e pericolosa) delle indagini speculative cabalistiche pratici cristiani i quali, sulla sistematica del Pico ed a seguito della diaspora degli ebrei spagnoli del 1492 dopo la caduta dell’emirato di Granada si diffusero in tutta l’Europa. Nel 1489 furono pubblicati contemporaneamente l’Heptaplus di Giovanni Pico e il De vita coelitus comparanda del Ficino. Nel terzo libro di quest’ultima opera l’autore ripercorre le tesi del Pico sulla magia ed offre la descrizione più perfetta della figura neoplatonica del filosofo-mago, parlando poi, nel terzo libro, del nesso fra astrologia e magia in ordine alla concezione dell’universo come vita: lo spiritus è sostanza sottile mediatrice; poi vi sono le virtù occulte delle stelle, i simboli, i segni, le immagini, le corrispondenze, i talismani, le virtù celesti e la potenza delle immagini (quest’ultimo punto sarà molto importante per le connessioni con l’arte di memoria). Per il Ficino (e per tutto il neoplatonismo rinascimentale) l’universo è un’attività vivente, dove il filosofo congiunge le parti che lo compongono, formando una corrispondenza tra ciò che è manifesto e ciò che è potenza occulta Il filosofo-mago ha la precisa missione di riformare il mondo e l’uomo, perché questi sia degno di essere chiamato microcosmo, rispetto a Dio, al Logos, al macrocosmo, perseguendo l’unità del tutto, l’armonia universale, la centralità dell’uomo (magno miraculo), l’animazione e la vita del cosmo, l’amore e la bellezza universali, la musica dei mondi, la pace religiosa dei popoli. Un ermetismo neoplatonico è la prisca theologia, madre di tutte le religioni: si tratta di un’affermazione rivoluzionaria che permetterà al momento di evolvere verso il concetto-programma di renovatio, propugnato, attraverso l’Accademia Neoplatonica di Firenze, dagli eretici durante le guerre di religione, da un peculiare gruppo di elisabettiani, dai manifesti dei Rosacroce fino all’alba del sec. XVIII, quando la scienza soppianterà l’alchimia e la Massoneria uscirà allo scoperto. Tutto quanto abbiamo detto è fondamentale per comprendere non tanto la verità storica su Ermete Trismegisto, bensì uno degli aspetti portanti del clima intellettuale del rinascimento italiano, ossia lo sviluppo dell’ermetismo religioso che, da Firenze si irradierà, come detto, nell’intera Europa fino ad influenzare prepotentemente l’Inghilterra elisabettiana per mezzo di Giordano Bruno, attivo oltre Manica tra il 1583 ed il 1585. L’ermetismo religioso del Bruno trova le sue origini in quello del Trismegisto e nel movimento neoplatonico del Pico e del Ficino; e, contemporaneamente, costituirà una base patrimoniale amplissima per la speculazione massonica. Alla fine del sec. XVI in molti consideravano l’ermetismo religioso uno strumento per arrivare all’unione delle differenti confessioni in lotta tra di loro, esistendo numerosi varietà di ermetismo cristiano, cattoliche e protestanti, le quali, tuttavia, scacciavano dal proprio seno l’arte magica. Giordano Bruno irrompe in questo scenario, propugnando un ermetismo egizio pienamente magico, predicando una specie di Controriforma Egizia e profetizzando il ritorno all’egizianismo ove tutte le difficoltà religiose sarebbero scomparse; il Bruno predicava al tempo stesso una riforma morale, enfatizzando le buone opere fondate su un’etica di utilità sociale. Ora, riflettiamo, dove, se non nella Massoneria, si trova un simile legame emotivo al passato ed al simbolismo egizio che, tramite l’esercizio delle buone opere, sfocia nella grande intuizione della tolleranza religiosa come veicolo di pace per l’intero mondo? 5-La sostituzione di Ermete con Hiram Come detto in apertura, un documento del 1659 parla di Ermete Trismegisto, secondo la tradizione che lo vuole citato in tutti gli Old Charges: poi, con le Costitutiones di James Anderson, scompare, sostituito da Hiram. Nasce spontaneo domandarsi il motivo, non bastando la giustificazione che la leggenda hiramiana fosse strumentale all’introduzione del terzo grado (accanto cioè all’entered prentice ed al fellow of craft) da parte del Desaguliers. L’omissione di Hermes rientra, a nostro giudizio, nel più grande progetto di cancellare duecento anni di storia massonica durante i quali gli eretici familisti, al fine di riunificare la cristianità in nome della tolleranza religiosa, avevano impresso specie nell’Arte inglese la figura di un architetto vitruviano rinascimentale, cultore della scienza di Trismegisto e praticante la tecnica della memoria bruniana, in permanente bilico tra l’alchimia e la scienza: in altri termini, l’idea del freemason in grado di autosublimarsi per attuare la comunione fra microcosmo e macrocosmo si sposava egregiamente con il perfezionismo familista, ma faceva a pugni con la rigida predestinazione calvinista. Il tutto anche in chiave politica, giacché l’eliminazione di Hermes dalla storia ufficiale della Massoneria inglese significava tagliare fuori le frange giacobite (i fedeli cioè alla Casa cattolica degli Stuart), passando attraverso l’abbandono degli sviluppi rinascimentali dell’Arte. Di fatto, dopo la seconda caduta della Casa Stuart, l’autentica tolleranza, praticata in loggia nell’età elisabettiana, scompare e diviene una mera copertura e manifesto ridondante dei differenti progetti politici, sia dei giacobiti che degli orangisti, poi hannoveriani. La Chiesa cattolica che nel 1738 condanna la Nuova Massoneria, come perniciosa per sé e per lo Stato, rifiutando il principio della tolleranza religiosa in loggia (ma astenendosi dal condannare la Dichiarazione di tolleranza di Giacomo II a favore di tutti i protestanti del Regno), finisce per ‘legittimare’ la massoneria hannoveriana che da quel momento in poi, vanterà di fronte alla pubblica opinione del mondo l’immagine di autentica paladina della tolleranza e del libero pensiero