Avvocato e medico devono riscoprire la propria funzione consulenziale, di straordinaria difficoltà umana e professionale, per mettere a disposizione del proprio cliente/paziente gli strumenti per decidere. Sono terminati i tempi, per fortuna, del “faccio io che so”, in ossequio ad un atteggiamento spocchioso e paternalista che per anni ha invece caratterizzato la professione.
Il cliente che si rivolge allo studio di un avvocato anzitutto per sapere, per conoscere, non necessariamente, dopo essere stato informato, dovrò sottoscrivere una procura ad agire in giudizio, quand’anche ne sussistano i requisiti, perché esistono ragioni di opportunità che riguardano il piano esistenziale del cliente, che non necessariamente corrispondono a quelli degli altri, o del proprio avvocato.
Allora debbo, se voglio essere un avvocato di qualità, metterlo nelle condizioni di autodeterminarsi in modo consapevole, quand’anche significasse non ricevere alcun incarico a proseguire l’assistenza se tale possa essere il suo modo di tutelare le proprie aspettative.