Esiste un primo aspetto in questa teoria con il quale saremo senz’altro tutti d’accordo. Lo stesso Fodor segnalava che il cervello, in quanto entità fisica osservabile, può essere studiato sempre meglio grazie ai progressi tecnologici. Ciò nonostante, esiste un punto in cui lo studio della mente passa attraverso un livello più astratto e impreciso nel quale la tecnologia perde valore.
Gli stessi Platone e Aristotele provarono a trovare una spiegazione a questo aspetto, così come Descartes e John Locke. Fu così che arrivati agli anni ’80, questa corrente a metà tra la filosofia e la psicologia sfruttò il lascito di Noam Chomsky e del criptomatematico Alan Turing come modo singolare di definire e spiegare i nostri processi cognitivi.
Verso la fine del 1950, il linguista e filosofo Noam Chomsky cominciò a difendere una delle sue teoria più conosciute: il linguaggio non è un comportamento appreso, bensì un’innata facoltà mentale funzionale.Questa premessa fu uno dei pilastri che più avanti ispirò il dottor Fodor.
Questi si basò in maniera diretta sui lavori di Turing relativi ai modelli matematici informatici, andando a formare pian piano la sua teoria secondo cui la mente è suddivisa in facoltà mentali separate e specializzate.
Questa teoria fu denominata modularità della mente e sostiene che ogni processo mentale è organizzato in diversi moduli specializzati, proprio come le funzioni uniche di un computer. Esiste quindi un modulo per la sensazione e la percezione, un altro per la volizione, un altro per la memoria, uno per il linguaggio, etc.
Jerry A. Fodor pubblicò le sue teorie nel libro La modularità della mente (1983). In seguito, i dottori Tooby e Cosmides enunciarono la teoria del coltellino svizzero basandosi sui suoi lavori. A che punto siamo oggi? Può ritenersi valido un approccio che ritiene che la mente sia composta da “applicazioni” specializzate?
Sebbene questa teoria sia controversa, non sono poche le figure in campo scientifico che la difendono. Una delle posizioni più nette è quella di Nancy Kanwisher, professoressa e ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Istituto di tecnologia del Massachusetts (MIT).
La dottoressa Kanwisher ha riscontrato attraverso risonanze magnetichel’esistenza di molte aree del cervello che non comunicano tra di loro, bensì lavorano in maniera isolata. Ciò permette, per esempio, alle persone con prosopagnosia di vedere perfettamente, ma essere incapaci di riconoscere gli altri. Il soggetto riesce a vedere i figli quando li va a prendere a scuola, ma non riesce a riconoscerli.